6° Edizione - Torneo di Calcio a 11 - Roma, 8 febbraio 2009

SALIF KEITA Il Calcio Africano e la Perla Nera del Mali

L’8 febbraio 1957 si riuniscono a Khartoum, nel Sudan, i delegati delle Federazioni calcistiche di Egitto, Etiopia, Sudafrica e Sudan. I quattro Paesi fondano la CAF, la Uefa africana, e lanciano la prima Coppa d’Africa ma il Sudafrica vuole schierare una formazione composta di soli bianchi.

La reazione della neonata Caf è rapida, incisiva, senza ripensamenti: il Sudafrica è espulso. Il resto del mondo sportivo non sarà altrettanto deciso nella propria condanna dell’orribile politica sudafricana. L’espulsione della Fifa arriverà solo nel 1976 e durerà fino al 1992 quando il Sudafrica viene riammesso. L’esilio è formalmente finito, così come l’apartheid, ma i problemi, nel calcio e sopratutto nel Paese, restano tutti.

Il 3 febbraio 1996, al Fnb Stadium di Soweto, o Soccer City, lo stesso impianto che quasi sei anni prima aveva accolto con estasi il primo discorso alla nazione del leader Nelson Mandela appena scarcerato, i Bafana Bafana vincono la Coppa d’Africa. Quando il coro Imilanji Kan-Tu ha intonato Nkosi Sikelel’ Africa (Dio benedica l’Africa), l’inno nazionale, 80mila voci hanno cominciato a cantare, e 80mila pugni chiusi si sono levati al cielo.

Il 14 maggio 2004, alla Fifa House di Zurigo, sono stati assegnati i mondiali di calcio 2010 al Sudafrica: dopo un ritardo di ottanta anni l’Africa ottiene l’organizzazione di un Mondiale. Ma non importa, perché nel continente il ritardo è una forma d’arte e non una mancanza di attenzione. E anche se, come disse proprio nel 1957 il giornalista più esperto di Africa, il polacco Ryszard Kapuscinski, “l’Africa in realtà non esiste perché è un oceano, un pianeta a se stante, un cosmo vario e ricchissimo, un continente troppo grande per poterlo descrivere ed è solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa”, probabilmente tutti gli africani si riconosceranno in questo mondiale.

Secondo Patrick Mboma, il calcio nel continente é popolare e diffuso come la malaria. L’Africa è la terra dello Zambia, che appella la propria nazionale con il poetico Chipolopolo, che ha visto la propria nazionale umiliare l’Italia alle Olimpiadi di Seul vincendo 4 a 0, che ha visto la propria nazionale spegnersi nel 1993 in un tragico incidente aereo e che ha visto la propria nazionale rinascere e raggiungere la finale di Coppa d’Africa nel 1994. L’Africa è la terra del Burkina Faso, il paese degli uomini retti, così ribattezzata nel 1983 dall’eroe rivoluzionario Thomas Sankara, che fu’ ucciso dopo soli 3 anni di governo e sepolto in una tomba senza lapide a Ouagadougou, ma che non è più stato dimenticato.

L’Africa è la terra di una Coppa d’Africa che più che il calcio del futuro sembra incarnare l’idea del calcio del passato. Senza ritiri blindati o conferenze prefissate, con le squadre partecipanti che tendono ad alloggiare tutte negli stessi alberghi, con le hall trasformate in suq per l’andirivieni di procuratori giornalisti fotografi tifosi, con i canti sui pullman delle squadre intonati da tutti giocatori e staff tecnico, con i balli infaticabili sugli spalti accompagnati da orchestrine o deejay, con gli arbitri a scusarsi dei loro grotteschi errori, con i giocatori che tornano a casa dall’estero cercando di arrivare il prima possibile e di tornare il più tardi possibile (quante volte abbiamo sentito i facoltosi club nostrani indignarsi per questo?).

L’Africa è la terra di Salif Keita, che nasce l’8 Dicembre 1946 nella capitale del Mali Bamako e che è considerato il migliore giocatore di calcio maliano della storia. A soli 16 anni già vinceva i campionati nazionali nel proprio paese, per tre volte con l’AS Real Bamako, e soprattutto a soli 16 anni è stato il più giovane nazionale della storia delle “Aquile” del Mali.

Era magro, con le gambe sottili e muscolose. Giocava di punta e non era facile sottrargli il pallone, lo nascondeva bene o lo muoveva con rapidità. Per questo ha subito diversi colpi che hanno condizionato la sua carriera.

Ma non passò inosservato quando nel 1967 accettò di trasferirsi in Europa, destinazione Francia, per giocare con l’AS Saint-Etienne. E non era una squadra qualsiasi, ma il grande Saint Etienne di Albert Batteux, il famoso allenatore che creò una leggenda in un periodo che verrò ricordato come "l'épopée verte", un periodo nel quale il Saint Etienne trascinerà l'intero calcio francese dalla mediocrità all'eccellenza.

E Salif Keita lo ripagò della fiducia, segnando 21 gol nella stagione 1968-69, e poi ancora 21 nella stagione 1969-70 e addirittura il doppio nella stagione 1970-71. Con il Saint-Etienne ha vinto 3 Campionati e 2 Coppe di Francia. Ma soprattutto, nel 1970, fu il primo calciatore a vincere il Pallone d’Oro Africano, un premio poi assegnato (negli anni successivi) ai grandissimi campioni africani.

Nel 1972 lascia il Saint-Etienne, dopo che se ne andò anche il mitico Batteux ormai deluso da quanto era diventato il mondo del calcio, e passa all’Olympic Marsiglia per 3 anni. Tentano in tutti i modi di fargli prendere la cittadinanza francese, ma inutilmente. E allora via di nuovo per il Valencia, in Spagna, e poi lo Sporting Lisbona, in Portogallo, e a chiudere la carriera negli Stati Uniti. Una carriera terminata come tante altre, continuando a segnare gol in giro per il mondo.

Ma dopo il calcio giocato Salif Keita non si è fermato. Ha lasciato nel calcio un paio di nipoti, Seydou Keita oggi al Barcellona e Mahamed Sissoko oggi alla Juventus. Ha fondato il primo centro di allenamento per calciatori professionisti in Mali, nel 1994, che porta il suo nome. Ha ispirato un film, Il Pallone d’oro del 1998, che il regista guineano Cheik Doukouré realizzò prendendo spunto dalla sua vita. E nel giugno 2005 Salif Keita è stato eletto presidente delle Federazione Maliana di Calcio (FEMAFOOT), per 4 anni.

Salif Keita è l’omaggio dello staff Palla di Cuoio al calcio del continente Africano. Un continente che può rappresentare il futuro nel calcio, esattamente come rappresenta le radici dell’umanità.

Ad Albert Batteux la chiusura. L’uomo che lanciò Salif Keita, l’uomo esperto di calcio che inventò la "joie du football" il calcio felice, l’uomo che rinunciò alla logica dei soldi prima di tutto, l’uomo che lasciò dopo cinque anni di successi senza paragoni il Saint Etienne. Quell’uomo, in una delle sue ultime interviste, affermò di sperare per il futuro solo nel calcio "ingenuo e libero" di africani ed asiatici, gli unici che considerava ancora capaci di quel "football en joie", quel calcio felice, al quale lui aveva dedicato tutta la vita.

Che il mondo preservi l’Africa.

Questo Africa-Keita-Rap è stato composto trafugando a piene mani ma affettuosamente dal libro Scusate il ritardo [Limina – pp. 148 – 13,50 €], del più grande esperto italiano di calcio africano Filippo Maria Ricci, e da qualche articolo trafugato qua e la sulla rete.

Che il maestro possa perdonare la nostra audacia.

Progettazione e Realizzazione .:] Mr. Wolf [:. Per scrivere al sito premi qui